Iacopo da Ghivizzano, Martino Bernardini e i Servi di Maria di Lucca nel 1524

L’epoca in cui vissero questi personaggi fu per Lucca fu di gran splendore. Allora i suoi mercanti e le sue sete erano apprezzati nelle fiere più importanti d’Europa, il denaro abbondava e i suoi signori manifestavano fattivamente la volontà di servire il ducato e di abbellire la città e i monumenti religiosi.

Iacopo di Giovanni da Ghivizzano. “La famiglia Ghivizzani, già detta dei Nozi, era originaria dal castello di Ghivizzano, ebbe cittadinanza lucchese nel sec. XIV e fu presente ai giuramenti di fedeltà a Giovanni di Boemia nel 1331 ed a Carlo IV nel 1369.
Dal 1392 al 1797 dette alla Repubblica numerosi gonfalonieri ed anziani, mentre altri sostennero importanti ambascerie politiche. La famiglia fu iscritta nel libro d'Oro della Repubblica di Lucca del 1628 e in quello del ducato Borbonico del 1826 col grado di nobiltà patrizia ...” (così il Catalogo dei Beni Culturali a nota della lapide funebre di Iacopo di Giovanni).
D’altronde lo stesso Iacopo, che dà il nome a una via nel luogo di origine di famiglia (a Coreglia Antelminelli, di cui Ghivizzano è frazione), ne fu un degno rappresentante. Mercante, cavaliere e uomo politico ebbe forte influenza anche nell’ambiente ecclesiastico.
Nel 1453, con l’abate di San Ponziano e due altri cittadini, per volontà di Eugenio IV, dispose dei beni del soppresso monastero di San Cerbone.
Nel maggio 1469 venne nominato dal fratello Piero suo erede universale, anteposto ai nipoti discendenti diretti.
Tra 1470 e 1484 fu operaio dell’opera di Santa Croce della cattedrale di Lucca e negli anni che vanno dal 1475-1478 fece fare il lastrico e le vetrate a colori istoriate (sostituite dal 1853). Nel 1480 commissionò l’organo a Domenico di Lorenzo celebre costruttore lucchese che lo finì nel 1484.
Nel 1496, durante l’invasione dei francesi, con altri “nobili viri” di Lucca promise a pagare alla fiera di Ognissanti di Lione 15000 ducati a monsignor d’Entragues per rendere libere le fortezze, torri e rocche di Pietrasanta e di Motrone.

Ebbe una figlia Margherita, moglie di Battista Arnolfini e madre del mercante e ambasciatore Iacopo (1494-dopo 1570) .
Il figlio Angelo, nato circa negli anni settanta del secolo XV, invece fu al servizio per oltre trent’anni dei Gonzaga di Mantova e morì verso il 1528.
L’altra figlia Maria fu badessa del monastero benedettino di Santa Giustina e cessò di vivere ante 1550.
Iacopo ebbe anche Caterina, figlia naturale, che sposò Martino Bernardini e fu madre di Martino, chiamato come il padre.

Martino Bernardini nacque nel 1487 e sposò Margherita di Michele Guinigi nel 1519. Fu anch’egli un ricco mercante e accorto uomo politico. Diresse una grande compagnia commerciale, con una molteplice attività di traffici e di operazioni bancarie e “articolata in più sedi e società, con diramazioni a Anversa a Palermo” (Treccani). In un periodo favorevole, si dedicò alla compravendita dei grani di Sicilia, allora uno dei principali produttori d’Europa. Partecipò attivamente anche alla vita civile e religiosa della sua città, nelle controversie sui benefici ecclesiastici e fu fedele “alla concezione di equilibrio del potere oligarchico”. Dopo aver affrontato rivolgimenti interni e pericoli esterni, che minacciavano la patria, i nobili e gli artigiani della seta, morì a Lucca il 28 novembre 1568.
La città gli deve la costruzione del palazzo di famiglia (la prima parte dal 1517 al 1523) e la continua opera di salvaguardia della sua ricchezza e influenza. Protesse, come si può vedere, anche i Servi di Maria della città.

I Servi di Maria di Lucca. Il convento fu fondato tra gli anni 50-60 del Duecento e rimase uno dei più noti e considerati in Toscana, di pari passo con la città. Nel particolare di quegli anni d’oro, ospitò circa una quindicina di frati (1517) e dette all’Ordine un priore generale: fra Girolamo Amidei.

Dottissimo religioso e oratore, nonché celebre controversista, al tempo dell'eresia luterana fu mandato vicario del generale Angelo d'Arezzo in Germania. Eletto generale nel 1523 e formalmente nel capitolo a Faenza del I maggio 1524, durò in carica 12 anni. Nel 1527 fece restaurare il convento di Lucca e nel 1533 consacrò la chiesa di Siena sotto il titolo dell’Immacolata Concezione. Nel 1535 invece fu scavalcato nel governo dell’Ordine dalla volontà di Paolo III che nominò direttamente all’incarico il padre Dionisio Laurerio. Ritiratosi pacificamente nel suo convento di Lucca, qui morì il 16 febbraio 1543.

Nel febbraio 1524, quando l’Amidei era sulla cresta dell’onda, pochi mesi prima che iniziasse il suo mandato di priore generale, si trova ricordato un legame tra Iacopo da Ghivizzano, Martino Bernardini e il convento dei Servi.
Appare in una lettera scritta, in latino un po’ ridondante, a Roma, dal cardinale dal titolo dei Santi Quattro Coronati, il fiorentino Lorenzo Pucci (1458-1531), protettore dell’Ordine, e diretta al primicerio della chiesa lucchese, in risposta a un esposto proprio del Bernardini.
Vi si ricorda come Martino, erede per la quarta parte del fu Iacopo da Ghivizzano, fosse tenuto e obbligato, secondo le disposizioni testamentarie e con i coeredi, a provvedere affinché si celebrasse nella chiesa di San Michele in Foro una messa in un giorno qualsiasi tramite un sacerdote che nelle ore dell'ufficio divino avrebbe dovuto servire con un salario di dieci ducati d'oro, e anche si celebrasse un'altra messa in un qualsiasi altro giorno in un luogo da loro voluto con lo stesso salario, tutto ciò senza omettere o defraudare mai le volontà del testatore.
E per questo Martino poteva prendere tante terre e beni stabili del valore di cento ducati d'oro, dei quali almeno cinque ducati in tutti i redditi, avrebbero potuto essere percepiti dal convento e dai frati e convento dei Servi della beata Maria Vergine di Lucca dell'ordine di Sant'Agostino, e loro assegnati con l’onere della celebrazione in altro giorno di una messa una messa all' altare della SS. Annunciazione di Maria Vergine, che l’esponente (Martino) e suo fratello avevano eretto e fondato nella chiesa.
E di tutto ciò, effettuata la cessione, il Bernardini si sarebbe ritenuto assolto e liberato dall'onere, e sarebbe stato consentito a lui eagli eredi, in perpetuo, per la mesa, di eleggere un frate residente pro tempore in convento.
Se però i frati non l’avessero celebrata o fatta celebrare, i beni di cui sopra sarebbero stati obbligati, ipotecati e assegnati a una altra chiesa indicata dagli eredi e con gli stessi oneri.

Il cardinale Pucci aggiungeva che a viva voce aveva avuto mandato speciale del papa e commetteva la questione alla discrezione del primicerio, aggiungendo che il Bernardini avrebbe dovuto essere assecondato e che gli fosse concessa piena e libera facoltà.

Paola Ircani Menichini, 25 aprile 2025.
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